31 marzo 2007

Nell'anno 2007 di nostra vita

Come l'ipocrita lettore di Baudelaire, qui l'ipocrita uditore di Guccini...ed io, la più ipocrita di tutti. Buon fine settimana.

Nell'anno '99 di nostra vita
io, Francesco Guccini, eterno studente
perché la materia di studio sarebbe infinita
e soprattutto perché so di non sapere niente,
io, chierico vagante, bandito di strada,
io, non artista, solo piccolo baccelliere,
perché, per colpa d'altri, vada come vada,
a volte mi vergogno di fare il mio mestiere,

io dico addio a tutte le vostre cazzate infinite,
riflettori e paillettes delle televisioni,
alle urla scomposte di politicanti professionisti,
a quelle vostre glorie vuote da coglioni...

E dico addio al mondo inventato del villaggio globale,
alle diete per mantenersi in forma smagliante
a chi parla sempre di un futuro trionfale
e ad ogni impresa di questo secolo trionfante,
alle magie di moda delle religioni orientali
che da noi nascondono soltanto vuoti di pensiero,
ai personaggi cicaleggianti dei talk-show
che squittiscono ad ogni ora un nuovo "vero"
alle futilità pettegole sui calciatori miliardari,
alle loro modelle senza umanità
alle sempiterne belle in gara sui calendari,
a chi dimentica o ignora l'umiltà...

Io, figlio d'una casalinga e di un impiegato,
cresciuto fra i saggi ignoranti di montagna
che sapevano Dante a memoria e improvvisavano di poesia,
io, tirato su a castagne ed ad erba spagna,
io, sempre un momento fa campagnolo inurbato,
due soldi d'elementari ed uno d'università,
ma sempre il pensiero a quel paese mai scordato
dove ritrovo anche oggi quattro soldi di civiltà...

Io dico addio a chi si nasconde con protervia dietro a un dito,
a chi non sceglie, non prende parte, non si sbilancia
o sceglie a caso per i tiramenti del momento
curando però sempre di riempirsi la pancia
e dico addio alle commedie tragiche dei sepolcri imbiancati,
ai ceroni ed ai parrucchini per signore,
alle lampade e tinture degli eterni non invecchiati,
al mondo fatto di ruffiani e di puttane a ore,
a chi si dichiara di sinistra e democratico
però è amico di tutti perché non si sa mai,
e poi anche chi è di destra ha i suoi pregi e gli è simpatico
ed è anche fondamentalista per evitare guai
a questo orizzonte di affaristi e d'imbroglioni
fatto di nebbia, pieno di sembrare,
ricolmo di nani, ballerine e canzoni,
di lotterie, l'unica fede il cui sperare...

Nell'anno '99 di nostra vita
io, giullare da niente, ma indignato,
anch'io qui canto con parola sfinita,
con un ruggito che diventa belato,
ma a te dedico queste parole da poco
che sottendono solo un vizio antico
sperando però che tu non le prenda come un gioco,
tu, ipocrita uditore, mio simile...
mio amico...

(Francesco Guccini, Addio)

28 marzo 2007

Un modo per ricordare

Non ci sarò oggi che è il giorno
dopo un anno dopo il ricordo
la non macchiata sostanza
che ti lascia
al riparo dai miei sogni
sarà quieta la riunione
ritmica litania
delle tue visioni che eri
che non eri la faccia povera
della gente sopra la ghiaia calpestata più bianca
digerita suola dopo suola così
una traccia livida
massacrata di te
per ognuno si farà urna di fiori
pagati un soldo a mano.

E’ il mio modo di ricordare. I fiori sono come corpi morti e si sfaldano. Davanti a una tomba le lacrime si induriscono e si ergono a prova di un dolore superiore, tutto da mostrare e rendere monumento. Ma il dolore è proprio, come il pensiero e il ricordo che lo accoglie, è un pudore, pelle viva che va curata ma non strappata. Di chi muore resta il segno, la cicatrice profonda che si riapre, sanguina e si richiude. La si deve affrontare e il sangue va raccolto, non disperso tra ingorghi di mani.

21 marzo 2007

Niente è come sembra

Canzone da leggere ed ascoltare. Dall'ultimo disco: Il vuoto. Un capolavoro assoluto...grazie Franco.

Rovinò lungo la china solo chi ha un destino rovina
non voglio che l'impuro ti colga
ti darò a una rondine in volo

Niente è come sembra niente è come appare
perché niente è reale

Ti darò a un ruscello che scorre o alla terra piena di mimose
qualcuno si ferma al tuo passare

Niente è come sembra niente è come appare
perché niente è reale

I was in my car watching for the bend
I was looking for you

Dal balcone ammiravo il vuoto che ogni tanto un passante riempiva…..
è stato solo un presentimento ti voglio ricordare che

Niente è come sembra niente è come appare
perchè niente è reale

(Franco Battiato, Niente è come sembra)

12 marzo 2007

Ritals

"Ritals" era il termine spregiativo con cui venivano chiamati gli italiani emigrati in Francia negli anni del primo e del secondo dopoguerra. Come loro, adesso, chiunque può essere un immigrato a casa propria, il cerchio delle persone che stringe l'infinita solitudine di un essere umano diventa disprezzo, odio e motivo di scherno. Oggi più che mai mi sento di esserlo, raggomitolata nella mia invisibile dimensione fatta di parole diverse, di suoni stridenti, nel mio continuo straniamento. Forse ci sono centinaia di vite come la mia, la cosa non mi consola.
So per certo che siamo in due ad essere soli, quando smaschero l'acqua amara dei tuoi gesti comuni.
Lascio tutto il resto ad una canzone di Gianmaria Testa:

E
ppure lo sapevamo anche noi
l'odore delle stive

l'amaro del partire
Lo sapevamo anche noi
e una lingua da disimparare
e un'altra da imparare in fretta
prima della bicicletta
Lo sapevamo anche noi
e la nebbia di fiato alla vetrine
e il tiepido del pane
e l'onta del rifiuto
lo sapevamo anche noi
questo guardare muto
E sapevamo la pazienza
di chi non si può fermare
e la santa carità
del santo regalare
lo sapevamo anche noi
il colore dell'offesa
e un abitare magro e magro
che non diventa casa
e la nebbia di fiato alla vetrine
e il tiepido del pane
e l'onta del riufito
lo sapevamo anche noi
questo guardare muto

(Gianmaria Testa, Ritals)

11 marzo 2007

I ricordi nello stomaco

Leggendo una poesia di Rimbaud (I poeti a sette anni) mi sono sforzata di ricordarmi qualcosa di essenziale della mia infanzia ma davanti agli occhi vedevo passare solo immagini veloci, inafferrabili. Mi ricordo però, della prima volta in cui mi sono innamorata. Devo dire di essere stata incredibilmente precoce a livello affettivo, nonostante con i miei genitori fossi una bambina piuttosto tiranna di sentimenti, forse per una sorta di mascheramento della mia femminilità e per la vergogna di far trasparire quella smisurata passionalità che sentivo svilupparsi in me e che mi spaventava. Comunque a cinque anni mi innamorai per davvero di un ragazzo di diciotto anni che stava nel mio stesso albergo, al mare. Mi piacerebbe ricordarmi il suo nome ma in fondo non è importante. Ricordo però che mi custodiva gelosamente, come una sorella minore, passavo interi pomeriggi con lui a giocare sulla spiaggia, a passeggiare sul lungomare (e i miei genitori non si preoccupavano?...mah) e alla sera, nel bar dell’albergo, giocavamo a carte assieme. Ho anche una foto: io seduta sulle sue ginocchia con degli occhi felicissimi mentre mi abbraccia. Tutti e due vestiti di verde, neanche a farlo apposta!
Non so perché sono arrivata a raccontare questa cosa. E’ stata una scena veloce ma pesante, di quei ricordi che si conservano nello stomaco e non nella testa. Sono stata una bambina troppo cerebrale perché di ricordi nello stomaco ne ho pochi. Questo è uno di quelli.

05 marzo 2007

una delle più belle foto che io abbia mai fatto...dalla più bella città del mondo.

Le parole



“Ho voglia di morire”, disse l’uomo, svogliatamente. La giovane, ripiegata sul letto, a braccia strette lo ascoltava senza trasporto, lasciava che le sue parole scivolassero sopra la sua pelle. Lei capiva da lontano e stupore non ne provava. Delle sue parole non si spaventava. “ Fallo. Quando avresti intenzione di ucciderti?” chiese aprendo appena gli occhi per vederlo voltato di spalle, alla finestra. “Non ho detto che vorrei uccidermi, solo che avrei voglia di morire. A te non passa mai per la mente?” “Non lo so. Ma tu lo dici soltanto per farmi spaventare. Lo sai che non succederà mai”.
L’uomo, pallido in volto, si avvicinò. Si mise a sedere stanco sul bordo del letto, in attesa. –siamo due esseri lontanissimi- pensava mentre con una mano sfiorava una caviglia di lei. “Basterebbe che tu, qualche volta, rimanessi in silenzio. Tutto sarebbe più facile, sai?” la giovane parlava come si fosse risvegliata da un lunghissimo sonno. “Lo so, ma io lo devo fare. Non sono come te.” Lei afferrò svogliatamente la sua mano e se la portò alle labbra. Nel suo mondo bastava solo un respiro per comunicare, aveva provato ad insegnarglielo troppe volte ma lui si ostinava a non capire, ogni parola per lei era un’enorme fatica, suoni sprecati che esprimevano concetti frastagliati, incompleti -le parole sono per i ragionieri- ripeteva in continuazione – per i ragionieri e per la scuola.- A queste frasi lui si sentiva morire di nuovo. Ogni giorno si proponeva di riscattarsi, di dimostrarle quanto in realtà lui valesse (forse anche più di lei), lui, il poeta stimato da tutti -ora vedremo se davvero i miei discorsi e i miei ragionamenti valgono meno del suo silenzio. Io so misurare la profondità delle parole, lei si sta solo prendendo gioco di me- Ma puntualmente bastava un cenno di lei, un lieve sorriso, a fargli capire che un abisso infinito li separava.
La ragazza si mise seduta, alle spalle dell’uomo. Poteva percepire i pensieri che si azzuffavano rovinosamente nella mente di lui, ne sentiva quasi il rumore, le urla disperate di alcuni e i pianti sommessi di altri, capiva la sua volontà di arginarli, capiva il suo disagio. Quasi in un tentativo di placare il tormento, la giovane sfiorò le tempie dell’uomo. Sotto le dita le percepiva di carta, friabili, pronte da un momento all’altro a farsi strappare -questa è la differenza tra chi le parole le fa e chi le ascolta soltanto. Se solo lui potesse capire.- Gli passò una mano tra i capelli, guidandogli il volto verso di lei. Come per un atto dovuto lo baciò, senza eccessivo trasporto, poi lo guardò negli occhi, pieni di lacrime. In un silenzio irreale fecero l’amore, senza quasi toccarsi e senza perdersi di vista un solo istante. Solo per un attimo lei chiuse gli occhi e a bassa voce pronunciò il suo nome, gocce di suono immerse in un liquido uterino, privo di risonanza. Prima di sciogliersi l’uomo la ringraziò.
Ma sapeva di non averla posseduta, nemmeno in quel modo.

04 marzo 2007

Oggi

Niente visite oggi. Chissà. Sulle pagine a perder ore, una giornata è andata, buttata. Non poteva essere altrimenti e nemmeno diversamente. Anche a correre per le strade l’avrei finita così, in un’ora della sera pensando che tutto sommato è inutile tutto. Inutile pensare che verremo salvati prima o poi. Inutile aspettare uno scopo ultimo, la passione bruciante, l’amore. Non mi stupirei più di nulla, come del motore che passa sotto la finestra, come il giardino che cambia colore la notte e gli uccelli non ci cantano più. Ci vuole coraggio per scoprirsi sconfitti, una volta scopertolo non si può più mangiare. Io continuo per ora, con il mio appetito quotidiano. Mi rincuoro ancora, a piccole dosi. Ma mi si è gonfiata la gola, dalla bocca mi tremano le parole. Mi manca il viaggio e la città non la chiamo per nome, la cammino soltanto, la inseguo dietro al treno. Dentro ci vive la vita, ci vivi anche tu e tutto il tuo tempo che non saprai abbandonare. Va bene così. A pensarti diverso fa male.

02 marzo 2007

Scrivo poco in questi giorni, soprattutto scrivo poco di mio. Ultimamente fatico a ritrovarmi in quello che dico...molto meglio invece in quello che scrivono gli altri.
Allora chiamo in causa ancora una volta David Grossman:

Se un giorno dovessimo fare l'amore, lo faremo piano, come nel sonno. Vedo noi due come feti che si cercano con movimenti lenti, a occhi chiusi.

Solo questo per oggi. Ciao.

28 febbraio 2007

Il miracolo di due vite che si toccano, nella loro pienezza estranea. Non dobbiamo cambiare mai nulla. Il nostro scambio di fluidi deve essere lieve e breve, giorno per giorno, senza contatto. Alla fine ci sapremo dissetare.

Ho tanta fede in te. Mi sembra
che saprei aspettare la tua voce
in silenzio, per secoli
di oscurità.

Tu sai tutti i segreti,
come il sole:
potresti far fiorire
i gerani e la zagara selvaggia
sul fondo delle cave
di pietra, delle prigioni
leggendarie.

Ho tanta fede in te. Son quieta
come l'arabo avvolto
nel barracano bianco,
che ascolta Dio maturargli
l'orzo intorno alla casa.

(Antonia Pozzi, Confidare)

27 febbraio 2007

Ce ne siamo andati, amici

Ce ne siamo andati. Ci siamo persi, ci siamo lasciati sconfiggere dal tempo, dalla banalità degli incontri settimanali, dalle parole di circostanza e dal vuoto intorno. Ci siamo persi come amici, l’uno dopo l’altro, abbiamo slacciato le mani, abbassato gli occhi sulle nostre strade troppo lontane e l’abbiamo fatto senza crescere mai, senza sentirci maturi. Se siamo soli sui nostri passi lo dobbiamo alla noia di stare insieme, all’ossessione dell’esserci a tutti i costi, all’esigenza di sapere tutto di tutti, perdendo la nostra dimensione interiore. Abbiamo voluto sfaldarci nella logica del gruppo e così facendo si è sfaldata ogni cosa. Siamo rimasti delle piccole figure incerte, terrorizzati dalla solitudine, ossessionati dalla ritualità del ritrovarsi. Dobbiamo capirci e capire che il nostro tempo è cambiato. E’ inutile l’ipocrisia di un legame costretto. Meglio saper vivere le nostre solitudini sereni, fino in fondo, riuscire a maturare nel nostro guscio. Solo da vivi riusciremo ancora a riprenderci. Adesso ci stiamo uccidendo pian piano.