28 febbraio 2007

Il miracolo di due vite che si toccano, nella loro pienezza estranea. Non dobbiamo cambiare mai nulla. Il nostro scambio di fluidi deve essere lieve e breve, giorno per giorno, senza contatto. Alla fine ci sapremo dissetare.

Ho tanta fede in te. Mi sembra
che saprei aspettare la tua voce
in silenzio, per secoli
di oscurità.

Tu sai tutti i segreti,
come il sole:
potresti far fiorire
i gerani e la zagara selvaggia
sul fondo delle cave
di pietra, delle prigioni
leggendarie.

Ho tanta fede in te. Son quieta
come l'arabo avvolto
nel barracano bianco,
che ascolta Dio maturargli
l'orzo intorno alla casa.

(Antonia Pozzi, Confidare)

27 febbraio 2007

Ce ne siamo andati, amici

Ce ne siamo andati. Ci siamo persi, ci siamo lasciati sconfiggere dal tempo, dalla banalità degli incontri settimanali, dalle parole di circostanza e dal vuoto intorno. Ci siamo persi come amici, l’uno dopo l’altro, abbiamo slacciato le mani, abbassato gli occhi sulle nostre strade troppo lontane e l’abbiamo fatto senza crescere mai, senza sentirci maturi. Se siamo soli sui nostri passi lo dobbiamo alla noia di stare insieme, all’ossessione dell’esserci a tutti i costi, all’esigenza di sapere tutto di tutti, perdendo la nostra dimensione interiore. Abbiamo voluto sfaldarci nella logica del gruppo e così facendo si è sfaldata ogni cosa. Siamo rimasti delle piccole figure incerte, terrorizzati dalla solitudine, ossessionati dalla ritualità del ritrovarsi. Dobbiamo capirci e capire che il nostro tempo è cambiato. E’ inutile l’ipocrisia di un legame costretto. Meglio saper vivere le nostre solitudini sereni, fino in fondo, riuscire a maturare nel nostro guscio. Solo da vivi riusciremo ancora a riprenderci. Adesso ci stiamo uccidendo pian piano.

22 febbraio 2007

Tributo ad Alma

Una poesia davvero toccante, drammatica, che ha come tema l'amore negato...dalla voce lirica più sensibile del secolo, ma che dico, dell'anno, anzi, del mese, dirò di più, del giorno, dell'ora, del minuto, del secondo...insomma una vocina che vi rimarrà impressa nelle viscere! la voce di Alma Merinos. Ringrazio l'autrice per avermi concesso esattamente pochi minuti fa al telefono via sms, di pubblicare qui, nel mio umile blog, dei così alti versi.
Alma Merinos è una poetessa che...si è fatta da sola.

baciami amore
la tua riluttanza
percuote le mie ombre
amami o demone
il dio beffardo
dai mutevoli traguardi
ci perdonerà
ma tu amore
non dissimulare il tuo amore
con quell'espressione schifata
quando sciolgo i veli della mia nudità
accogli il canto
tra le mie mammelle e la tua bocca
avvicinati reprimendo
i tuoi conati (sicuramente conati d'amore)
io so che il tuo fuggire da me
a gambe levate urlando
"aiuto fermate la ninfomane stupratrice"
e la più grande prova del tuo
amore
l'amore del dio artiodattilo suiforme

(Alma Merinos)


Retrato em branco e preto

Grazie per avermi lasciata attonita anche oggi. Ti ringrazio con tutto il cuore. A parte questa canzone non so che altro dire...

Já conheço os passos dessa estrada
Sei que não vai dar em nada
Seus segredos sei de cor
Já conheço as pedras do caminho
E sei também que ali sozinho
Eu vou ficar, tanto pior
O que é que eu posso contra o encanto
Desse amor que eu nego tanto
Evito tanto e que no entanto
Volta sempre a enfeitiçar
Com seus mesmos tristes, velhos fatos
Que num album de retratos
Eu teimo em colecionar
Lá vou eu de novo, como um tolo
Procurar o desconsolo
Que cansei de conhecer
Novos dias tristes, noites claras
Versos, cartas, minha cara
Ainda volto a lhe escrever
Prá lhe dizer que isto é pecado
Eu trago o peito tão marcado
De lembranças do passado
E você sabe a razão
Vou colecionar mais um soneto
Outro retrato em branco e preto

(Antonio Carlos Jobim e Chico Barque, Retrato em Branco e Preto)

21 febbraio 2007

aliquot lineae desiderantur...


Ho bisogno di linee entro cui trattenermi. Come i muri trattengono le case, come gli argini i fiumi, come è facile poi notare che ogni oggetto è delimitato da linee, da intervalli, per ogni cosa si può vedere la fine, anche questa matita: sono sei facce, sei spigoli che io vedo, tocco, percepisco, ma quello che penso, le cosiddette idee… l’etimo riporta a qualche cosa che si può vedere, no? ma chi le ha mai viste le idee? è un doppio inganno, un termine fuorviante, ci vuole dare un senso di concretezza quando di concreto, nella vita, c’è ben poco. Ad esempio vorrei sapere perché il Vocabolario della Crusca non accetta il temine fuorviante che a me, personalmente, piace usare. E’ un termine che mette bene in luce la mancanza di linee, linee che alcuni, invece, ritrovano nel gesto che io detesto, di sollevare due ditini, due per mano quindi quattro, e di muoverli come se graffiassero l’aria dicendo “tra virgolette” come se il dirlo non bastasse, no, servono anche le virgolette disegnate nel nulla con le mani, e se devo dire tra parentesi, che gesto dovrei fare allora? il pollice e l’indice messi a semicerchio con il resto delle dita chiuse? (ma forse quel gesto indica un’altra cosa ben più materica che le parentesi…) che comunque il limite al pensare, il muro che ci ferma, il nostro argine mentale non si trova, nemmeno con gli espedienti gestuali.
Datemi una linea ed io me la legherò addosso. Lo giuro.

19 febbraio 2007

Mi devo scusare?

Dovrei in qualche modo scusarmi con quanti (pochi sicuramente) si imbattono più o meno casualmente in questo blog: è vero, continuo a parlare di me, in modo neppure tanto velato…vi chiederete se io non sappia fare altro. Forse no, forse riuscirei anche a scrivere qualcosa di semiserio che non sia strettamente legato alla mia sfera privata però non lo voglio fare, è questo il punto. Parlando in modo davvero egoistico, quello che scrivo qui lo scrivo per me e mi fa piacere pensare che il lettore di questo blog legga me stessa. Se si vuole sentir parlare d’altro basta navigare tranquillamente in internet…le notizie e gli argomenti non mancano. Non mi importa se, come dice qualcuno, i miei sono dei deliri solipsistici alla Woody Allen, dei deliri anche piuttosto ridicoli…non sto creando qualcosa di serio, non ho mai avuto la presunzione di farlo. A me sta bene così.

Allora il messaggio si capisce...forse.

Ripasso sul morso
che ieri mi hai lasciato
afflitto indegno di nome
dove ti sai muovere
quieto ospite
non tra le tende caste
riposate della mente
ma nella roccia liquida
nella corda della gola che inghiotte
saliva salata
nella riga verde
del braccio goccia
a goccia
in noi due
si nutre soli
lo stesso verme.

17 febbraio 2007

Il mio sottile piacere dell'ambiguità

Per salutarci la notte...affido il mio pensiero alle parole di David Grossman:

Il piacere dell’ambiguità, ecco un’arguta definizione (come fosse il nome di un nuovo tipo di tè, ricavato dal succo di mandorle della mia bile, non ti pare?). Parlo di quel dolore piacevole, dolce-amaro, che si infiltra nelle viscere mentre tu, e tutto quello che sei, ti contorci e ti aggrovigli, come una piaga nell’intestino che ti risucchia, provocando fitte di dolore e di umiliazione. Fitte che diventano familiari e che sai presto ritrovare dentro di te, e poi anche riprodurre. E’ ciò che di più misero possiedi, ma anche di più intimo, una sensazione a cui fai continuamente ritorno. E come potresti altrimenti? E’ sapore di casa, odore di casa, eccolo di nuovo, pungente, disponibile. Sentilo, fai la sua conoscenza: sono io, sono il mio corpo e la mia anima che si riconoscono.

(David Grossman, da Che tu sia per me il coltello)

15 febbraio 2007

Che fa il mio bimbo?
Che fa il mio capriolo?
Verrà tre volte ancora
E poi non verrà più

Disse al figurinaio: fammi una statua di cera
che si muova come un uomo vero

i morti se li tocchi sono freddi
invece i vivi sono tutta un'altra cosa

l'amore mio quando lo toccavo
ero felice

(Vivian Lamarque, da Questa quieta polvere)

Vorrei un bambino, ma lo vorrei subito, in questo preciso istante, senza aspettare il tempo necessario per farlo maturare, ne' la persona con cui crearlo. No, vorrei un bellissimo bambino con gli occhi verdi e i capelli neri neri davanti alla fronte, dovrebbe nascere ed avere due anni, due mani che sanno parlare, che mi sappiano accarezzare come io fossi la vita che gli ha dato la vita e non come vita distante, quello che tutti invece fanno...Certamente il mio bambino avrebbe mille nomi e mille cognomi, sarebbe figlio dell'ispirazione, lo terrei nel taschino così da poterlo sfoggiare ogni volta e fare a tutti invidia e se crescesse un poco...lo terrei in valigia.

14 febbraio 2007

Deliri notturni...sul divano

Allora, è un attimo e sprofondati così nel divano di casa ci faciamo un pochino abbattere dalla quotidiana stanchezza, dal torpore delle cose fatte, lasciate indietro come macigni appena vomitati. Ancora con i muscoli del petto che fremono per la fatica, il peso della massa corporea comincia stamparsi sui poveri cuscini inconsapevoli di portare su di loro le immagini delle ore prima, incollate così ai pantaloni, alle scarpe. Comunque vadano le cose arriva sempre quell'ora in cui ognuno di noi deve far i conti con il proprio divano. I miei sono due: uno giallo ed uno verde, il verde un poco sbiadito a dire il vero ma rallegrato da quei rombi lievi lievi di un indefinibile colore tra il giallo e il marrone, ecco, ocra, direi proprio divano verde con rombi ocra. Io preferiso il divano verde, per ovvie ragioni di praticità, non fosse per il fatto che è più comodo sdraiarsi su una cosa dì per sè rovinata senza sentire la paura di poterla sporcare e/o accidentalmente danneggiare. Arriva il momento di infilare una dietro l'altra le buone azioni della giornata e disporle vicino alla testa, in prossimità dell'orecchio sinistro, così si possono anche appoggiare allo schienale del divano e magari riposarsi su se stesse, anche loro hanno il diritto di schiacciare un pisolino, o no? attenzione solo a non scchiacciarvi i piedi altrimenti da buone diventerete decadute-buone-azioni, ossia azioncine, azionciuzze da poco. A destra invece, un po' più in basso dell'orecchio, lì tra la mascella ed il collo, mettiamoci le cattive azioni, quelle che ci infastidiscono davvero e che ci sono uscite senza volerlo o magari volendolo, chissà, così in quella sede (ma, beninteso,non stanno sedute) non sarà difficile schiaffeggiarle ogni tanto, ma non quei buffetti scherzosi che si danno ai bambini paffutelli, ma delle vere e proprie legnate per stordirle una volta per tutte. Poi i piedi si divertono a spingere la testiera opposta, la dirimpettaia della televisione che da spenta sembra accesa, da accesa sarebe meglio fosse spenta, fino a quando non si sente quel crik sordo degli ingranaggi mobili sottostanti al nostro strumento di piacevole mollezza (il divano, certo, e che cos'altro mai?). Comunque non è sempre facile ascoltare del jazz stesi sul divano, ti spinge a fare e a disfare, ad esempio ci si sente naturalmente portati a salire le scale due, quattro, sedici volte, certamente senza un motivo per avere solo la parvenza di essere impegnati. D'accordo c'è il jazz più calmo, ma il ritmo, il ritmo c'è sempre. Rimane la classica musica classica ma come fare ad operare un consapevole ascolto impegnati come si è a contare i capelli che sono rimasti imbrigliati nel colletto del giaccone steso alla bell'e meglio sullo schienale...ma comunque soddisfatti per quello splendido parcheggio ad S davanti alla stazione.
Fu vera gloria? Ai posteri l'ardua sentenza.

07 febbraio 2007

Dedica 2

Un'altra poesia per la sera. Da dedicare.

Non volgere da me gli occhi. Guardami sempre.
Anche se non ti guardo, tu guarda a me che vivo.
Penetri per amore. Nel profondo
tremi del mio tremore.

Non volgere da me gli occhi. Guardami sempre.
Anche se non ti guardo, guarda tu a me che vivo.
Penetri per amore, osi in profondo,
tremi in te il mio tremore.

Tremi del mio tremore.
Per amore mi penetri.

(Franco Fortini)
Ogni giorno devo lottare contro idee che bruciano come tizzoni, tagliano, feriscono, fendono come coltelli, mi sminuzzano l'anima, la fanno in piccolissime briciole dolorose che immerse in acqua stridono fumanti.
Se penso a te sento il desiderio di lavarmi, lavarmi per ore ed ore sotto un getto bollente, voglio cancellarti dalla mia mente che non ti vuole, non ti ha mai voluto, anzi, tu sei una nera infezione che si apre e si amplia giorno dopo giorno, un veleno amaro chiuso in una boccetta che ogni volta si rompe e riversa tutto il suo liquido liquoroso nel mio sangue.
Eppure tu mi investi, mi spezzi ancora dopo tutti questi anni, sei ancora lì, dentro quell'enorme casa in stile vittoriano che ti sei costruito tra le mie membrane pesanti e in quella casa continui ad agguingere mobili, quadri, ma spesso, molto più spesso, distruggi la prima cosa che ti capita sotto mano, così, gli dai fuoco ed io lo sento, non devi pensare di essermi estraneo, tu vivi in me, mi penetri di continuo anche se non lo sai. Mi penetri di giorno con le tue parole asettiche, divinamente calme, mi penetri con gli occhi fugaci, martellate di sguardi che spesso mi infierisci senza pietà e mi penetri di notte, con il tuo corpo insicuro, timido per la sua nudità, imbarazzato per le nostre differenze.
In fondo noi ci siamo incontrati più spesso e più a fondo di chiunque. In un modo o nell'altro.

04 febbraio 2007

Se avessi saputo investirmi
capire di me la fonte che ti accoglie riflesso
era ancora calda la crosta sul muro
di case e dietro
l'urto del fiume suonava
a te che ieri
consegnavo la mia ultima scaglia
persino l'ultima tra le spine
del firmamento.
Ti chiedevo naufragio
la prova del singhiozzo marcito che tra noi
è parola ritmo scarico
ma il liscio interno
della chiocciola
non lo sapevi tentare.

Questa invece è mia. Anche questa è per qualcuno...chissà se capirà.

In-comprensioni

Come ci si può sentire quando si cerca in ogni modo di far capire qualcosa di importante ad una persona ma questa persona non capisce? Desolazione è il termine che meglio può descrivre tale sensazione.
Comincio a pensare di aver dei seri problemi comunicativi. Evidentemente le mie parole rimbalzano sugli altri come delle palle di gomma -come delle palle di gomma su un muro di gomma- ed è una cosa terrificante, me le sento fischiare accanto quando ritornano respinte dalla loro meta, e sono parole sprecate, pensieri buttati all'aria su cui tanto avevo lavorato...non serve a nulla. Non serve davvero costruirsi un'idea, un'ipotesi, crearsi nella mente (come un esperimento di laboratorio) l'effetto dei discorsi sugli altri. No.
Pensavo di saper scrivere bene. Molte persone me l'hanno detto e me lo dicono ancora ma evidentemente quello che colgono dei miei scritti non è il messaggio, non è l'intento comunicativo ma solo la "bella forma", gli accostamenti originali delle parole e, diciamo così, il disegno della poesia...eppure è così facile. Basta leggere le parole, per una volta, leggere soltanto. Il mesaggio sta lì, è così vicino, così tangibile, eppure...Forse è più semplice volarci attorno, o aspettare la comunicazione diretta, telegrafica, del sentimento, cosa che io non farò mai.
Mi dispiace.